Piccio (Giovanni Carnovali)

Montegrino, Varese, 1804 – Cremona 1873

Autoritratto

1836 – 1838 circa

Olio su tela 59 × 44 cm

Dono Antonio Pesenti, 1981

Originale

Accademia Carrara
Sala 26

Riproduzione

Humanitas Castelli A2
Humanitas Gavazzeni D3

IL “PICCIO” GIOVANNI ALL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI

Giovanni Carnovali è un artista del Romanticismo lombardo. Nato in provincia di Varese in una famiglia povera, segue gli studi artistici grazie al sostegno economico della nobile famiglia bergamasca degli Spini, presso cui suo padre lavora, ad Albino, come fontanaro dei giardini nella villa. I fratelli Pietro Andrea e Anastasia Spini – celebrati in due ritratti eseguiti da Carnovali negli anni Quaranta ed esposti in Museo – scoprono la precoce abilità di disegnatore autodidatta del piccolo Giovanni e decidono di valorizzarla facendolo iscrivere all’Accademia di Belle Arti Carrara, a soli undici anni nel 1815, un anno prima dell’accesso regolare; da lì deriva anche il suo soprannome “Piccio”, essendo l’allievo più piccolo nel gruppo di studenti. Frequenta le lezioni del maestro e direttore Giuseppe Diotti, artista seguace dello stile Neoclassico, che insegna illustrando l’arte classica e rinascimentale e il disegno accademico come primo strumento per imparare l’arte. Tuttavia – benché dai documenti dell’epoca si intuisca la stima che Diotti ha per il promettente adolescente – il docente non manca di sottolineare con rammarico l’indipendenza stilistica che lo caratterizza e lo differenzia dalle regole stabilite a scuola.

UNO STILE PERSONALE

Carnevali/Piccio, infatti, sviluppa rapidamente una innovativa indole “romantica”, caratterizzata da una pennellata rapida di tocco, soffice e sfrangiata, con cromie luminose ad effetto morbido e sfumato. Per questo stile, Carnovali è spesso indicato dalla critica d’arte – un po’ forzatamente – un precursore dell’Impressionismo francese, ma il suo esempio è più direttamente collegabile alla nascita della Scapigliatura e del Divisionismo. I modelli stilistici che lo influenzano sono gli artisti del Rinascimento (Parmigianino e Correggio per la tecnica e Moroni per le composizioni dei ritratti), oltre allo stile del Settecento veneto e francese (Fragonard, Watteau e Delacroix; Tiepolo, Guardi e Zuccarelli). Infatti, la sua biografia ricorda i giovanili viaggi di studio e formazione a Roma, Napoli (con Federico Faruffini), Parma e Parigi (1845), spesso in compagnia dell’amico e collega Giacomo Trécourt, anch’egli allievo di Diotti e poi noto artista molto amato dalla committenza lombarda. Piccio è un noto paesaggista e ritrattista oltre che autore di scene bibliche e mitologiche; seguace del filone del “realismo lombardo” che vanta una consolidata tradizione locale già dal Cinquecento, con esempi dal bresciano Moretto al bergamasco Moroni, dal seicentesco Ceresa fino al settecentesco Fra’ Galgario. Un radicato passato artistico di tale levatura può solo stimolare positivamente il desiderio di Carnovali di emulare, rielaborare e rinnovare i dettami tramandati. Ecco dunque – derivati dai suddetti colleghi – gli stilemi ben riconoscibili: le pose di tre quarti e i tagli compositivi ravvicinati o a figura intera, la resa mimetica delle stoffe e degli oggetti, l’acuta analisi delle fisionomie fino alla genuina resa psicologica e caratteriale del personaggio. Questa ricerca artistica la sperimenta e la declina, con frequenza e per comodità, anche nei suoi autoritratti che nei decenni si trasformano in un documento storico del tempo che passa, del suo stile che si evolve e di un’indagine – non solo come allenamento tecnico, ma anche di memoria personale – già ben testimoniata dagli autoritratti di Rembrandt, nel naturalismo del Seicento olandese.

RITRATTO DI UNO SCAPIGLIATO

Di questo Autoritratto esistono tre versioni, le altre due sono in collezioni private a Bergamo e a Milano. Piccio si ritrae a circa trentadue anni, già noto artista, nel periodo in cui gravita professionalmente tra Cremona, Bergamo e Milano. Nella posa ravvicinata, su un luminoso sfondo neutro, è probabilmente rivolto allo specchio, anche se pare fissare l’osservatore – di qualsiasi epoca esso sia – con lo sguardo sereno e limpido. Presenza sobria, in un cappotto di velluto blu, la barba incolta e i capelli mossi, un po’ spettinati: ecco un giovane “scapigliato” ante litteram dell’Ottocento lombardo.