Lella Costa
Ritratto di fanciulla con ventaglio
Lella Costa
Ritratto di fanciulla con ventaglio
“Battista, el Ceruti el voeur faa il ritratt a la toa tosa…”
“Ma l’era minga andaa a Padua, quel malnatt ?”
“L’è turnàa indré, el dis che l’ha faa delle grandi opere anca per la Giesa, per i sciur de Venesia, ma mi ghe credi no…e comunque el dis che la sua passiun l’è semper de fàa i ritratti a la povera gent…”
“Ma se la gh’entra la Marietta che la sta semper a Gagiàn, vurarisi savè…”
“Ma no, no, minga la Marietta: el dis che el voeur faa il ritratt a la toa piscinina, a la Ghitìn…”
“O Gesù d’amur accès, ma l’è matt?”
Il mio nome è Margherita, ma mi chiamano Ghitìn. O anche la Rossa di San Cristoforo. Nella mia famiglia non c’è mai stato nessuno come me, coi miei colori, dico: o almeno nessuno se ne ricorda, neanche la perpetua che è vecchissima e sta a San Cristoforo da sempre. Quando sono nata l’hanno chiamata subito e lei ha fatto venire il parroco perché avevano paura a toccarmi, tutti, anche mia mamma: bianca come la cera, e quii caveii, Maria vergine… L’è figlia del diavul, poaritt, che disgrasia.
E poi mia mamma è morta, due settimane dopo, senza che le fosse uscita una sola goccia di latte – e io piangevo, piangevo e non dormivo, in quelle due settimane non ho mai dormito, mai, neanche un minuto, e allora hanno cominciato a dire t’ee vist, l’è propri una creatura del demòni, t’el disi mì, e adess come farà el Battista, coi gemelli che gh’ann dumà cinq ann e la Marietta nianca dü, pora gent, povera gente…
Così mi han mandato a balia in una cascina dalle parti di Robecco, e intanto mio papà in fretta e furia si è trovato un’altra moglie che si chiamava Margherita come me, ma lei la chiamavano Rita, Ritìn, era piccola piccola piccola e magra magra, un parpaii de dona, ma gran lavoratrice, e poi era più vecchia di mio papà, e infatti con lei di figli non ne ha mica più fatti, e io sono sempre rimasta la piscinina.
La Rita ha voluto subito riportarmi a casa, è venuta lei a riprendermi appena slattata, che mio papà col mulino non poteva di sicuro, e così lei si è caricata i miei tre fratelli sul birocc perché minuta com’era sapeva fare tutto e non si stancava mai.
Lei non aveva paura a toccarmi, anzi, mi abbracciava sempre, mi diceva che ero speciale, che c’era stato un pittore famoso che aveva fatto dei ritratti a delle gran signore che avevano i capelli proprio come i miei, tant’è che a quel colore lì, a quel rosso lì, il mio, gli avevano proprio dato il nome di quel pittore, però lei non se lo ricordava.
La Rita per tanti anni era stata a servizio in casa della contessa Castelbarco, che la trattava benissimo e le aveva insegnato a leggere e le aveva addirittura regalato dei libri ma lei la sera era troppo stanca per esercitarsi, però aveva imparato, e i libri se li era portati adrée perché la Contessa quando era andata via le aveva detto di tenerli, e che le dispiaceva perderla, e che sperava che non facesse una sciocchezza, alla sua età, a rinunciare alla libertà per andare a fare la serva in casa di un vedovo con quattro figli, e oltre ai libri le aveva regalato dei vestiti e degli orecchini e un ciondolo. Ma la Rita diceva che i sciur, anche quelli buoni e generosi come la sua contessa, non si rendevano mica conto che fare la serva in casa propria è comunque meglio che fare la serva in casa d’altri. E che per la gente come noi la parola libertà non vuol dire la stessa cosa che intendono loro.
La Rita aveva le mani d’oro, dicevano le donne che venivano a fare il bucato al lavatoio, e il Battista era stato proprio fortunato a prendersi in casa una come lei, proprio fortunato, anche se… A questo punto se si accorgevano di me abbassavano la voce e si guardavano in un modo che non capivo, facevano dei sorrisi e poi subito attaccavano a cantare, la bella la va al fosso, ravanei, remulass, barbabietole e spinass, tri palanche al mass…
Mio papà con la Rita non alzava mai la voce, mai, era difficile che le rivolgesse la parola. Neanche con noi parlava, soprattutto con me.
Appena i gemelli hanno compiuto otto anni ha cominciato a portarseli adrée al mulino, a dare una mano, così con loro ogni tanto due parole le scambiava, magari per sgridarli o per spiegargli cosa dovevano fare il giorno dopo. E la Marietta capitava addirittura che se la tirasse sulle ginocchia e le chiedesse di raccontargli qualcosa, ma dopo un po’ la metteva giù e non diceva più niente.
A me non mi guardava mai.
Le donne del lavatoio le avevo sentite dire tante volte che la Marietta era il ritratto della sua povera mamma.
Tra me e lei c’erano neanche due anni ma non avevamo confidenza, mi teneva alla larga, preferiva andare dagli zii che avevano una cascina a Gaggiano, andava talmente d’accordo con l’Adele, avevano la stessa età ma facevano finta di essere sorelle, non cugine, e infatti si assomigliavano. Gli zii avevano le bestie e loro andavano a dar da mangiare ai conigli e alle galline e poi hanno imparato anche a mungere, così quando la Marietta ha compiuto undici anni gli zii hanno chiesto se potevano tenerla fissa da loro che lavoro ce n’era per tutti, tornava a casa solo la domenica ma mica sempre.
Così io e la Rita portavamo stare in santa pace per tutto il giorno, e lei mi insegnava a cucinare, e a cucire, e a rammendare, e a fare il bucato con la cenere, ma soprattutto mi insegnava a leggere, però era il nostro segreto e non ne parlavamo con nessuno. Non so perché, ma lei diceva fidati, diceva che era meglio così.
Ero brava a leggere, mi piaceva, imparavo in fretta, la Rita era tanto contenta e orgogliosa ma a un certo punto i libri che le aveva regalato la contessa Castelbarco li avevo letti e riletti tante di quelle volte e ne volevo di nuovi, così un giorno mi ha detto: domani andiamo a Milano. Potevamo farlo perché mio papà e i gemelli dovevano andare a consegnare della farina vicino a Pavia col birocc, sarebbero stati fuori anche la notte.
La Rita si è messa d’accordo col Renzo del barcone e siamo partite la mattina presto che l’acqua del naviglio sembrava che fumasse, ma quando siamo arrivate alla chiusa dell’Incoronata c’era il sole. Siamo andate a piedi fino al Domm, era talmente bello che ho chiesto alla Rita se era sicura che ci facevano entrare e lei ha detto ma certo, è la casa del Signore, e io ho pensato che doveva essere proprio buono, questo signore che lasciava entrare tutti nel suo palazzo.
La casa della contessa Castelbarco invece aveva il portone sbarrato con davanti due che sembravano dei cavalieri ma invece la Rita mi ha spiegato che erano i valletti, l’hanno riconosciuta subito e le hanno detto di andare su che la contessa l’aspettava, siamo salite per uno scalone che non finiva più e che aveva il colore della mia pelle, e poi non mi ricordo bene cosa è successo, so solo che a un certo punto mi sono trovata davanti uno specchio, ma uno specchio come non ne avevo mai visti: grande, grandissimo, e con una cornice d’oro che sembrava un quadro. E dentro allo specchio c’ero io, ma non l’ho capito subito: non mi ero mica mai vista prima, così, tutta intera. Mi sono messa a piangere e sono scappata.
E mi sono persa, c’erano tante stanze una in fila all’altra, no stanze, saloni, mi sembravano tutti uguali, e mi girava la testa e piangevo piangevo sempre di più finché a un certo punto sono finita addosso a una signora che mi ha preso per le braccia e mi ha detto calmati.
Ma non è stata la voce: è stato il profumo. Un profumo così non l’avevo mai sentito, non era solo buono, buonissimo, era – ma non so, era la cosa più bella che mi era mai capitata nella vita, ecco.
Così ho smesso di piangere, e intanto era arrivata anche la Rita con delle altre donne tutte vestite uguali, e tutte insieme si sono fermate e hanno fatto un inchino e poi la Rita con un vocino che non le avevo mai sentito ha detto signora Contessa, perdonateci, la bambina. Forse voleva dire qualcos’altro ma la contessa ha fatto un segno con la mano come per dire che non importava, poi mi ha detto “E così tu saresti Margherita”, e mi ha asciugato gli occhi e fatto soffiare il naso con un fazzoletto che aveva quello stesso profumo. “Davvero ti piace leggere, Margherita?”
Anche la voce era morbida come il fazzoletto, ma non so se la contessa era bella o brutta, giovane o vecchia, non sono riuscita a guardarla bene, o forse non me lo ricordo.
Pitocchetto (Giacomo Ceruti)
Ritratto di fanciulla con ventaglio
Però mi ricordo che poi mi ha portato in una stanza tutta foderata coi libri, e ne ha scelti un bel po’, e poi in un’altra stanza tutta fatta di stoffe ha preso un ventaglio bellissimo di un colore che non avevo mai visto – come una melanzana pallida – e mi ha detto “Adesso è un po’ grande per te, conservalo per l’occasione giusta”, e mi ha fatto una carezza.
Ma io non sono neanche riuscita a ringraziarla perché anche il ventaglio aveva un po’ di quel profumo, solo un po’, e io pensavo a come dovevo fare per farlo durare per sempre.
“Ti te capisset un quei coss, Giuan? El Ceruti l’è rivàa chi tutto in pompa magna e el me gh’aa dì che el vuleva faa il ritratt de la Ghitìn, e quanto volevo per l’incomodo… Ma se el gh’aa dii danèe de tràa via cum’è che el ciamen el Pitocchett?”
“Eh, perché ghe pias de faa i quader dii pitocc, no? De la povera gent come nuialter…
“O Gesù d’amur accès, ma l’è matt?”
“Chiamami Giacomo”, mi ha detto subito, ma io non riuscivo a parlare e ho solo fatto sì con la testa.
Il vestito l’aveva tirato fuori la Rita da un baule che teneva nel granaio, era un po’ grande ma tanto dietro nel quadro non si vedeva e così me l’ha sistemato lei.
“È perfetto, è il colore che dovresti indossare sempre, ti valorizza” – ma io sempre muta.
L’unica cosa mia che avevo addosso era la camicia, quella della domenica: il ciondolo, la catenina e gli orecchini me li aveva dati la Rita, ma io gli orecchini non volevo metterli, ho le orecchie troppo grandi, mi vergognavo, invece lui mi ha detto di stare tranquilla, che ci pensava lui, e comunque l’orecchio più brutto, il sinistro, neanche si sarebbe visto. E che comunque con quei capelli, e gli occhi, e la bocca, nessuno sarebbe stato a guardarmi le orecchie, parola d’onore. E sorrideva.
Allora ho preso coraggio e gli ho chiesto “E il collo?”, ma talmente sottovoce che ho dovuto ripeterlo.
“Perché, cosa c’è che non va nel tuo collo…” Sorrideva sempre.
Non ce l’ho, io, il collo, e invece nei libri e nei quadri le fanciulle hanno sempre il collo lungo, lunghissimo – come i cigni.
Allora mi è venuto vicino, mi ha fatto una carezza e mi ha chiesto se mi fidavo di lui. E io gli ho detto di sì, e era proprio vero, tant’è che ho preso coraggio e gli ho domandato se potevo anche tenere in mano il ventaglio della contessa.
“Va bene, vediamo come viene nella composizione” e è rimasto zitto per un bel po’, a guardare. Poi ha fatto sì con la testa, e gli brillavano gli occhi.
Il ventaglio era pesante, a stare così ferma in piedi dopo un po’ mi faceva male il braccio, la spalla, ma avevo paura che se mi muovevo lui si arrabbiava, e magari mi diceva di metterlo giù. Invece a un certo punto si è fermato, e dopo un po’ ha detto “Non va bene, il polso così è troppo nudo, non ce l’hai un braccialetto?”
No, ho fatto con la testa, senza parlare perché avevo paura di rimettermi a piangere. No.
Non mi ero neanche accorta che mio papà era entrato nella stanza, però in quel momento l’ho visto uscire, e poi dopo un po’ è tornato con qualcosa in mano, ma me non mi guardava, l’ha dato al pittore.
“L’era de la mia miee, la diseva semper che anca se l’era d’oro matto ghe piaseva tant perché ghe l’avevi regalàa mì, se ghe par che ’l vaa ben…”
“È perfetto, grazie” e aveva ragione, era proprio della misura del mio polso.
“Cara Margherita, mi sa che i posteri ti ricorderanno come la fanciulla col ventaglio”, mi ha detto.
E io sono diventata tutta rossa.
Mai nessuno mi aveva chiamata fanciulla.
Mai.
Biografia dell'autore
Lella Costa è attrice, autrice e scrittrice. Nell’ottobre 2019 ha debuttato con La Parola Giusta, con la regia di Gabriele Vacis, e a gennaio 2020 debutterà con Se non posso ballare…, con la regia di Serena Sinigaglia, ispirato al Catalogo delle donne valorose di Serena Dandini. Tra i suoi spettacoli teatrali più recenti Human con Marco Baliani, Traviata, l’Intelligenza del cuore con la regia di Gabriele Vacis, Questioni di cuore dal carteggio di Natalia Aspesi con i suoi lettori. Gran parte dei suoi monologhi teatrali sono stati pubblicati da Feltrinelli: La daga nel loden (1992), Che faccia fare (1998), In tournée (2004) e Amleto, Alice e la Traviata (2008). Per Piemme sono usciti Come una specie di sorriso (2012) e Che bello essere noi (2014). Per Solferino è appena uscito Ciò che possiamo fare (2019). Nel 2017 ha condotto lo speciale tv Mariangela! (Rai Cultura) dedicato a la vita e la carriera di Mariangela Melato. È componente del CDA dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
Opere a cui è ispirata questa storia
Collocazione riproduzioni
Humanitas Gavazzeni A2
Alcune immagini sono state scattate prima del DPCM del 23 febbraio 2020.