Enrico Ianniello
Una giornata d’aprile
Enrico Ianniello
Una giornata d’aprile
Riccardo
“Buongiorno Giuseppe, scusa il ritardo.”
“Figurati. Venti minuti a Napoli non rientrano nella categoria dei ritardi, ma in quella della cronoplasticità. Lo vuoi un caffè?”
“No, grazie. L’ho preso al volo, prima di scendere. Oggi è una giornata incasinatissima.”
“E quale giornata non lo è?” Riccardo, l’ennesimo giovane in un paese in cui si è forzati alla gioventù per troppo tempo, deve presentare a Giuseppe la sua idea per la nuova campagna di comunicazione. È un momento fondamentale, per la sua carriera; vedersi affidare questo lavoro significherebbe finalmente una posizione più importante e un contratto di collaborazione stabile con l’agenzia.
Anche sua moglie Cristina lavora; ma non è facile vivere con due figli e uno stipendio da insegnante. E allora Riccardo doveva sistematizzare i suoi guadagni, così gli aveva detto il suocero, l’ingegnere Alfredo Coppola.
“E che significa sistematizzare, papà? Jà, ma che discorsi…” aveva reagito stizzita Cristina. “Riccardo è bravo, lavora, ama quello che fa. Ha uno stile molto riconoscibile e guadagna pure abbastanza bene.”
“Una volta all’anno” replicò stizzito l’ingegnere, guardandoli inerte con l’indice alzato in aria. Finché Cristina non era uscita sbattendo la porta, seguita a ruota dal marito.
“Vabbè Cristi’, tuo padre voleva dire che dovrei avere uno stipendio fisso” le aveva sussurrato Riccardo la sera a letto, carezzandole il piede con il suo, accomodante come al solito.
“E l’ho capito, io a mio padre lo conosco da prima di te. Perciò mi irrita. Perché invece di sforzarsi di rispettare le scelte altrui, si mette a fare l’ingegnere elettronico e dice sistematizzare i guadagni. E a me mi fa saltare i nervi. Sai cosa mi ha detto quando comunicai a casa che volevo laurearmi in lettere classiche?”
“Sì, che volevi…”
“Che volevo Parmenidizzare Napoli. Nun sape manco chi è, Parmenide. Ma fa sempre così: quando una cosa non gli piace, piglia e fa’ ’nu verbo. Sistematizzare, Parmenidizzare… Prima o poi lo invento pure io, un bel verbo per lui, voglio vedere come reagisce. Tuo padre è diventato un pezzo di pane, da vecchio, invece mio padre si fa sempre più acido. Hai visto Renatino com’è contento, quando lo porto da tuo padre?”
Sistematizzare i guadagni… Sistematizzare i guadagni… La frase incriminata continua a sguisciare nella testa di Riccardo, spingendolo a torturarsi la lunga barba mentre Giuseppe lo guarda con il suo bel sorriso aperto, la tazzina di caffè tra le dita, pronto ad ascoltare le sue idee. Dalla strada arriva la voce schiacciata, grammofonata di Carlos Gardel mentre canta il tango più famoso di sempre, Por una cabeza, accompagnando un misero spettacolo di marionette che la giovane dai capelli rasta tiene sul marciapiedi. Quella canzone lì si sente tutti i giorni, per tutto il giorno. Quando hanno bisogno di concentrarsi, ai larghi tavoli dell’agenzia creativa, devono indossare le cuffie o chiudere la finestra. Ma oggi è la prima autentica giornata di primavera e deve entrare l’aria del nuovo Aprile, anche se è soltanto un po’ tiepida e già viziata dallo smog.
Ora tocca a lui aprire il computer e cominciare a mostrare il frutto del proprio lavoro appassionato e notturno, come l’amore.
Piccio (Giovanni Carnovali)
Autoritratto
Cristina e Annarella
“Appena suona la campanella fatti trovare subito qua fuori, non perdere tempo a chiacchierare con le amichette tue. Ci mangiamo una pizza fritta al volo e corriamo a cercare il vestitino, va bene?”
“Va bene” risponde la piccola Annarella appuntendo le labbra per farsele baciare dalla mamma. E Cristina lo fa distrattamente, perché deve scappare subito a scuola, addirittura pentendosi di quella disattenzione quando ancora le labbra sono unite a quelle della bambina. Comincerà soltanto alla seconda ora, ma prima deve parlare con il professore Matarazzi per organizzare il progetto extra disciplinare; ma sa che si ridurrà ad ascoltare pettegolezzi che non le interessano, per quaranta minuti di seguito. Mentre scappa cercando di mantenere l’equilibrio sul basolato sconnesso, sente la voce della piccola Annarella che grida “mamma!”. Preoccupata, fa una giravolta così veloce che quasi vola a terra, la pesante borsa piena di libri e appunti.
“Che c’è Annare’?”
“E Renatino con chi sta? Non ci può andare a scuola, tiene la febbre!”
Tu tieni otto anni, Annarella mia, tuo fratello ne tiene cinque, e ti preoccupi come se fosse figlio tuo invece che mio – pensa Cristina e si commuove, inaspettatamente, tanto che una lacrima si prepara già a correre sulla guancia.
“Papà lo ha portato da nonno, non ti preoccupare” le dice, salutandola con la mano che si precipita a spostare i lembi della tasca per prendere il fazzolettino.
Tengo gli ormoni tutti stravolti, pensa, e si accorge del cielo azzurro riflesso in una finestra che si sta aprendo.
Finite le lezioni, riesce a prendere una pizza fritta e mangiarla in strada con un appetito che non si aspettava di avere. La divora nonostante il fumo caldo che le investe la faccia, copioso dopo il primo boccone, e la ricotta bruciante che la costringe a masticare a bocca aperta. Cristina ha trentadue anni. Insegna italiano. E oggi deve comprare un vestito alla piccola Annarella che è stata invitata alla festa di compleanno della sua amica del cuore. Ha provato a dirle che non è importante mettere un vestito nuovo apposta per l’occasione, ma lei ha risposto Mamma! Dobbiamo fare il red party! Ci vuole per forza il vestitino rosso e io non lo tengo! Mò perché devo fare brutta figura? Se non me lo comprate non ci vado, eh, ve lo dico già!
“Mi fate l’altra pizza da portare, cortesemente? Senza pepe?” chiede, pensando già che le scappa di nuovo e il telefono sta vibrando nella borsa, proprio sulla vescica, e questo non aiuta.
“Uè Zia Pasquali’, dimmi”
“Ma stasera mangiamo a casa Umberto, allora?”
“Sì zia, però ci facciamo le pizze perché non tengo tempo di cucinare.”
“Se serve qualcosa la posso portare io…”
“Ma tu vieni con Tinuccia?”
“Eh sì, certo”
“Va bene, allora siamo sette, così lo dico a Riccardo che prende le pizze e un po’ di frittura. Renatino già sta col nonno, ché teneva qualche decimo di febbre stamattina e non l’ho mandato a scuola”
“Uh, piccolino mio. Sarà un poco di gola, adesso sta girando. Ci vediamo dopo allora, jà. Ciao.”
“Ciao zia, cia’.”
Renatino e Nonno
Il regalo di compleanno
“Renatino bello di nonno, come stai? Ti fa male la gola?”
“Sì, nonno…”
“E vuoi venire un poco in braccio? Così ti racconto una bella storia?”
“Sì, però dopo giochiamo sul tappeto con le macchine?”
“Va bene, va bene.”
Mentre Renatino si arrampica sulle gambe di Umberto qualcosa sembra bloccarlo all’improvviso, un pensiero che lo lascia a bocca aperta. E fa tanta tenerezza, quell’espressione allarmata sul faccino congestionato, gli occhi un po’ gonfi e lucidi di febbre.
“Ah, nonno, auguri! Oggi è il compleanno tuo!”
Come un micetto, Renatino fa un salto dalle ginocchia di nonno Umberto e corre verso lo zainetto pieno di pupazzi e macchinine che si è portato da casa. Ha portato un regalo di compleanno per il nonno, e lo cerca rovistando confusamente nel piccolo spazio ingombro. Umberto ne approfitta per alzarsi dalla poltrona e andare verso la cucina.
“Aspe’ nonno, aspe’! Che fai?”
“Niente, sto qua Renati’, devo girare un poco il sugo sennò si attacca nella pentola.”
“Ma stai preparando i maccheroni per me?”
“Sì, ma è presto! Tu mò sei arrivato, già tieni fame? Dopo nonno ti fa un bel piatto di maccheroni col sugo come ti piace a te.”
“Col formaggio!”
“Col formaggio…” replica accondiscendente il nonno, e un sorriso pieno d’affetto gli casca nella pentola. Immergendo la cucchiarella nel sugo rosso brillante ripensa a Riccardo, quel figlio avuto così tardi che ora ha trentacinque anni e una gran barba lunga. Lo rivede piccolino, in quella stessa cucina, mentre gli corre incontro felice, appena tornato da scuola. “È il successo di un genitore – si dice – un figlio che ti corre incontro felice di vederti è il tuo successo”. Poi allarga il quadro di quel ricordo e seduta in una poltrona rivede Domenica, sua moglie. L’ha perduta da cinque anni. Le sorride, e Domenica ricambia con la gentilezza degli amati assenti.
“Nonno! Nonno!”
Renatino lo aspetta seduto sulla poltrona con un foglio spiegazzato tra le mani.
“Grazie, che bel regalo!” dice Umberto accomodandosi sul bracciolo, asciugando le mani con uno strofinaccio che gli penzola dalla cintura. Sul foglio c’è una linea rossa, cerchi marroni sovrapposti, e una larga macchia verde. Il ditino di Renato indica minuziosamente. Questo sei tu. Questo sono io. Questa è Annarella, col vestito rosso.
Giovanni Pezzotta
La memoria del nonno
Tinuccia e Pasqualina
La spremuta d’arancia
“L’ingegnere s’è svegliato?”
“Sì, Tinu’.”
“Ma lo faccio, il caffè?”
“Sì, Tinu’.”
“E tu finisci di pulire i broccoli?”
“Sì, Tinu’.”
Quando l’ingegnere, il papà di Cristina, era rimasto vedovo, la casa gli era crollata addosso. Non sapeva fare niente. Non sapeva cucinare, non sapeva stirarsi le camicie, non sapeva tenere in ordine le lenzuola, fare la lavatrice, gestire la casa. Niente. Si erano messi a cercare qualcuno che lo aiutasse; ma dopo aver provato con diverse collaboratrici erano di nuovo al punto di partenza. Litigava con tutte. Rispondeva male, aveva pretese assurde e un tono sprezzante. Finché non si erano proposte le zie di Riccardo, le sorelle di Umberto.
“Ce pensammo nuie a tuo padre, Cristi’, non ti avvilire. Tu già devi pensare al lavoro e a due figli, invece noi stiamo a casa tutta la giornata. Se lui è d’accordo, andiamo noi a lavorare la mattina da lui. Pure a noi ci fa comodo guadagnare qualcosina.”
“Ma quello tiene un brutto carattere, vi risponde male e a me mi dispiace.”
“Eh, figuriamoci. Ci risponde male? E tu non lo sai che soffriamo di sordità intermittente? Quann’ parla isso, nun sentimmo!”
L’ingegnere, tutte le mattine, vuole la spremuta d’arancia a letto. Pasqualina la prepara, cinque arance. Tinuccia mette su il caffè, poi parte per consegnare la spremuta. Ci tiene a farlo lei. Percorre il lungo corridoio a passetti giapponesi, fermandosi ogni dieci passi. Un giorno, mentre passa l’aspirapolvere, Pasqualina le chiede la ragione di quella strana andatura.
“Tu cammini normale tutta la giornata. Perché quando porti la spremuta all’ingegnere ti fermi ogni cinque, sei passi?”
Tinuccia finge di non sentire a causa dell’aspirapolvere, allora Pasqualina lo spegne allungando il piede pantofolato e ripete la domanda.
“Ah, ma tu dici la mattina?”
“Sì, dico la mattina, quando porti la spremuta all’ingegnere. Perché ti fermi continuamente?”
Tinuccia riflette un po’ prima di rispondere.
“Guardo i quadri che tiene nel corridoio. E quella statua dello scugnizzo che sta sulla colonnetta di marmo.”
“E te la guardi tutte le mattine?”
“Ma perché è vietato, Pasquali’?”
“No, Tinu’, non è vietato, ma ormai te la sarai imparata a memoria. E poi non le guardi più per tutta la mattinata, non capisco.”
“Quando porto la spremuta le finestre delle stanze stanno chiuse, no?”
“Eh certo, noi la mattina arriviamo e mettiamo a posto la cucina, per prima cosa. Poi, quando si sveglia lui, attacchiamo col resto della casa.”
“Esatto. E a me mi piace proprio guardare i quadri e la statuetta nella penombra, Pasquali’. Perché cambiano le forme e cambiano i colori.”
“Ah, si’?” risponde Pasqualina, senza convinzione.
La spina
Umberto e Renatino avevano fatto un ottimo lavoro.
Verso le sette si erano messi ad apparecchiare con cura, nonostante Cristina avesse detto ci mangiamo solo una pizza al volo, papà, non sporcare piatti e posate, me le faccio tagliare già a spicchi! Invece lui non solo aveva tirato fuori il servizio buono di Domenica e lo aveva lavato e asciugato per bene, stando ben attento a Renatino che faceva schizzare l’acqua dappertutto; ma era pure sceso con lui a comprare un mazzo di margherite bianche che aveva disposto in due vasi, uno marrone e uno azzurro, al centro del tavolo. Il primo ad arrivare era stato Riccardo, affannato e scombinato come sempre. Spettinato, con il solito sguardo limpido e un po’ impaurito.
“Auguri, papà” gli aveva detto passandogli il braccio destro dietro il collo e tirandolo a sé, mentre la piccola colonna di cartoni sfidava l’equilibrio sulla sinistra.
“Grazie guaglio’! Attenzione, che cadono le pizze! Com’è andata allora?”
“Papà!” aveva gridato Renatino correndogli incontro e lanciandogli le braccia al collo. Umberto se li guardava contento.
“È andata bene, papà, il progetto gli è piaciuto, anche se mi ha chiesto dei cambiamenti. Abbiamo lavorato tutto il pomeriggio, sto stanchissimo…”
“Quindi è una bella notizia da festeggiare!”
“Direi di sì. Questa campagna la dirigo io e in settimana mi fa una proposta di collaborazione stabile con l’agenzia.”
“Bravissimo. Vieni qua, fatti dare un abbraccio.” ordinò bonariamente Umberto.
Il trentacinquenne Riccardo, poggiando il mento sulla spalla del vecchio padre, lanciò uno sguardo verso la poltrona. E vide Domenica, che gli sorrideva contenta. Renatino si infilò tra i due, ridendo di gusto.
“Però Giuseppe mi ha detto una cosa che non ho capito bene.” rifletté ad alta voce Riccardo, aprendo l’abbraccio.” Mi ha detto che mi manca ancora la terza persona.”
Umberto aggrottò le sopracciglia per chiedergli di spiegarsi meglio.
“Sì – continuò Riccardo – dice che devo passare dalla prima alla terza persona. Se tu fossi uno scrittore, ti darei questo consiglio, mi ha detto.”
“Uno sguardo più oggettivo?”
“Credo che intendesse questo, sì. Non lo so, ci devo pensare.”
Cristina irruppe in casa lanciando le buste sulla poltrona.
“Mamma! – urlò Annarella – ’o vestito!”
“Scusa, a mamma, devo correre in bagno mi scappa la pipì!”
“Mamma, mamma, mamma!” gridò Renatino, che era già eccitato per quella mezza festicciola che stava per iniziare, nonostante la febbricola. Riccardo chiese un bacio ad Annarella che glielo concesse tirandogli un po’ la barba, era una loro piccola consuetudine amorosa. Poi lei disse che voleva mostrare il vestito nuovo a tutti ma Riccardo la interruppe perché bisognava lavarsi le mani e mettersi a tavola, forza, che si fa tutto freddo!
“Guardate come abbiamo apparecchiato bene io e nonno!” urlò Renatino con un tono da presentatore, coronato dal suono del citofono.
“Vado io! Vado io!” strillacchiò Annarella, inciampando in Cristina che usciva dal bagno con un sospiro attraverso il quale intendeva scaricare tutta la stanchezza di quella giornata.
“M’ha fatto gira’ mezza Napoli, per trovare quel cavolo di vestito rosso. E questo è corto, e quello è lungo, e le maniche così no, e lo voglio come Ariana Grande… Alla fine lo abbiamo trovato in un negozietto sperduto dietro a un vicolo dei Tribunali, perché fortunatamente la sua amichetta Eleonora ci ha mandato la posizione sul telefonino. Mamma mia che avventura. Mò tengo ’na famm’ incredibile.”
“E mangia, tieni” le disse amorevolmente Umberto, servendole un bel triangolo di pizza calda e accarezzandole i capelli. Poi si abbassò e le sussurrò all’orecchio non so come ti vedo. Gli occhi di Cristina si fecero più grandi e più neri, mentre si girava verso il suocero con un mezzo sorriso, ’nu pizzo a riso, come si dice a Napoli.
“Buonasera e tanti auguri a Umberto!” cantarono in coro Tinuccia e Pasqualina superando la soglia. Poi, manco fosse un balletto delle gemelle Kessler, si aprirono e in mezzo a loro apparve l’ingegnere, il papà di Cristina.
“Papà! E che ci fai qua?”, disse Cristina, nascondendo in malo modo una piccola irritazione. “Ma tu stamattina mi hai detto che non volevi venire, che dovevi stare solo non so per quale motivo, e mò?”
“E mò sta qua con noi, Cristi’”, intervenne Pasqualina, “a me mi faceva pena che stava lui da solo e noi tutti insieme, e quindi l’ho invitato io. Ho fatto bene, Umbe’?”
Umberto non si lasciò sfuggire l’occasione per sorridere amabilmente ancora una volta; quella era l’attività che gli riusciva meglio, da quando Domenica non c’era più.
Sedettero a tavola e, come per magia, fecero sparire le grandi pizze a ruota di carretta in un giro di mani, schiuma di birra, commenti sui mazzi di margherite e tanti auguri.
Raccolti i piatti sporchi, Umberto, con passo amorevole e stanco mise a tavola un buon limoncello regalatogli da Alessandra, una vecchia amica di famiglia che viveva ad Agerola, sulla costiera amalfitana. Nel relax regalato dall’alcool e dalla pancia piena, Renatino se ne stava mezzo addormentato sulle gambe della mamma, la testa sprofondata tra i seni. Annarella aveva finalmente mostrato il vestito rosso tra gli urletti di stupore e meraviglia delle zie, e adesso ne percorreva felice le cuciture col dito, immaginando scenari da favola.
“È troppo buono il limoncello”, disse Pasqualina con una risatina mezzo ubriaca, “io pure lo faccio buono, però questo è spettacolare, si sente che i limoni sono buonissimi.”
“Limoni, aranci, tutti gli agrumi so’ belli e profumano, c’è poco da fare…” aggiunse Cristina, a cui già si chiudevano gli occhi dal sonno.
“Ingegne’ si vede che è figlia a voi, eh?” chiese Pasqualina con un po’ di eccitazione alcolica.
“Perché lo dite?”
“Uh Gesù e non avete sentito la storia degli agrumi? E pure voi ogni mattina vi bevete una bella spremuta di cinque arance!”
“Bevo? Bevevo! Dopo la prima settimana non me l’avete fatta più.” disse l’ingegnere senza concedere nessuno spazio alla simpatia.
“Ma che state dicendo!”, balzò Pasqualina. “Io spremo ogni mattina cinque arance con queste mani!”
“E io me le bevo” asserì Tinuccia sorridendo, come fosse un suo inderogabile diritto.
“Tu te le bevi?” disse sgranando gli occhi, Pasqualina.
“Tu oggi mi hai chiesto perché mi fermo ogni dieci passi quando la porto, no, Pasquali’? Ecco il motivo. Ogni dieci passi, un sorso. All’inizio pensavo ne bevo solo un poco, non se ne accorgerà. Poi ne bevo un altro sorso, non se ne accorgerà. Poi pensai: eh no! ’O signore è ingegnere! Sicuramente se ne accorge! Avrà preso qualche segno di riferimento sul bicchiere, se ne accorge per forza. E allora è meglio che me la bevo tutta quanta.”
“Cioè sono mesi e mesi che ti bevi la spremuta dell’ingegnere?” chiese, allibita, Pasqualina.
“Eh.”
“E che gli dici quando vai in camera?”
“Dico buongiorno ingegne’, vi ho preparato un caffè bello assai. Alzatevi che la giornata è splendida e tenete a due belle femmine per casa.”
La confessione di Tinuccia fu così semplice, così sincera, così divertente con le sue alzate di spalle a confermare l’assoluta regolarità del suo comportamento, che il sorriso affiorò sulle labbra di tutti.
Cristina prese allora la parola e chiese:
“Papà, e tu? Non te ne sei accorto?”
“E certo.” rispose l’ingegnere.
“E nun dicite niente?” aggiunse stupefatta Pasqualina.
“E che devo dire? Facciamo che è il segno della mia gratitudine per Tinuccia” e, finalmente, sorrise. Cristina lo guardò e pensò che comunque gli voleva bene, a quel brontolone antipatico. Mentre questo pensiero le faceva stringere gli occhi, spostò lo sguardo su Riccardo che la fissava come un cagnolino che aspetta la pallina. Capì subito.
“Uh scusa amore, non ti ho nemmeno chiesto! Tenevo troppa fame! Com’è andata? Dimmi bene!”
“Bene, bene!”, rispose lui annuendo. “Entro in agenzia. E sistematizzo i guadagni.”
Seguì un brindisi rumoroso e felice. Mentre i bicchieri tintinnavano brillanti, Cristina sussurrò sono di nuovo incinta.
Pittore ligure, da Rogier van der Weyden e bottega
San Girolamo che leva la spina al leone
“La conoscete la storia di San Girolamo e il Leone?” chiese Umberto mentre si stavano salutando sulla porta, Renatino addormentato in braccio a Riccardo.
“Papà ce la dici un’altra volta, questo pesa…”
“È brevissima: tutti avevano paura di un leone che terrorizzava il paese. Arriva San Girolamo e capisce che il leone tiene una spina nella zampa. Gliela toglie, e da quel momento la bestia, riconoscente, lo difende.”
Annarella guardò il nonno come se gli vedesse per la prima volta gli occhi. In un attimo silenzioso che durò giusto un volo dei pensieri, ciascuno identificò il proprio leone e cercò immediatamente la spina nascosta dal pelo folto.
Poi, nello scavalcarsi degli ciao e dei baci sulle guance, mentre Renatino biascicava qualcosa e Riccardo cercava di sentirgli la temperatura con la guancia, mentre Cristina stringeva la mano di Annarella baciando la fronte del padre che la lasciava finalmente fare senza irrigidirsi, mentre Tinuccia si sentiva mormorare da Pasqualina sei na figlia ’e ntrocchia, mentre l’ingegnere approfittava di quel bacio in fronte per fare una carezza alla pancia della figlia, Umberto si girò a guardare la poltrona dove sedeva sempre la sua amata Domenica.
Biografia dell'autore
Enrico Ianniello, dopo la formazione presso la Bottega Teatrale di Vittorio Gassman a Firenze, ha lavorato in teatro sotto la direzione di Leo de Berardinis (100 attori), Federico Tiezzi (Adelchi e Il Paradiso), Andrea Renzi (Rosencrantz e Guildernstern sono morti, Pinocchio, Tradimenti, Magic People Show, Santa Maria d’America) e Toni Servillo (Misantropo, Tartufo, Sabato, Domenica e Lunedì).
Ha tradotto, dal castigliano e dal catalano, testi teatrali andati in scena con successo in Italia, tra i quali vanno ricordati Il metodo Grönholm e Giacomino e Mammà, di Jordi Galceran e i pluripremiati Chiòve e Giocatori di Pau Mirò.
Ha inoltre portato in scena, in Italia e in Spagna, testi di Giuseppe Montesano (Magic People Show e EterNapoli) e continua a condurre un lavoro di messinscena e confronto tra le drammaturgie iberiche e quelle italiane.
Al cinema, ha recitato in Habemus Papam e Mia Madre, di Nanni Moretti, e ha diretto e interpretato il film tv Giocatori, tratto dall’omonimo spettacolo teatrale, prodotto da Rai Fiction, Teatri Uniti e CPTV Rai di Napoli, andato in onda su Rai3.
In televisione ha preso parte a numerosi progetti, tra i quali ricordiamo le miniserie La vita che corre, I 57 giorni, Caruso, Studio Uno, e le lunghe serialità Un passo dal Cielo 1,2,3,4,5 (dove interpreta il commissario Vincenzo Nappi), Come fai sbagli, nel ruolo di Paolo Piccardo, e Il commissario Ricciardi, nel ruolo di Bruno Modo.
Nel 2015 è uscito, per Feltrinelli, il suo primo romanzo, La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin, vincitore dei premi Campiello Opera Prima, John Fante Opera Prima, Cuneo Opera Prima, Selezione Bancarella, Selezione Berto Opera Prima, Edoardo Kihlgren Opera Prima, romanzo pubblicato inoltre in Germania, Brasile, Serbia e Corea del Sud.
Il 10 gennaio 2019, sempre per Feltrinelli, è uscito il secondo romanzo, La compagnia delle Illusioni, Premio Selezione Letteraria.
Opere a cui è ispirata questa storia
Collocazione riproduzioni
Humanitas Gavazzeni DAY HOSPITAL
Alcune immagini sono state scattate prima del DPCM del 23 febbraio 2020.