Maestro bramantesco (Bernardino Bergognone)

Milano? metà XV secolo – Milano 1525?

Madonna del latte

1492 – 1495 circa

Tempera e oro su tavola 62 × 46,8 cm

Collezione Guglielmo Lochis, 1866

Originale

Accademia Carrara
Sala 10

Riproduzione

Humanitas Gavazzeni
Sala di attesa radiologia

Siamo subito colpiti dall’incantevole viso di Maria: quasi un ritratto, bianchissimo, dai tratti soavi.

I riccioli ramati le scendono morbidi lungo le spalle. L’abito che indossa è di un’eleganza superba, alla moda del tempo; la bordatura di ricami dorati impreziosisce il manto blu petrolio sul quale risalta la chioma fasciata da un sottile nastro nero. Impressionante è il realismo con cui l’artista rappresenta il Bambino, intento a succhiare il latte dal seno materno.

Sul fondo della scena, infine, si scorge una figura con l’aureola, solitamente identificata con San Giuseppe.

Iconografia

Nel dipinto sono combinate due iconografie mariane molto diffuse: la Madonna della Rosa, evocata dal roseto alle spalle di Maria, e la Madonna del Latte. Anche l’iscrizione in latino sull’aureola dorata «beautus venter qui te portavit et ubera [quae succisti]» rimanda esplicitamente alla devozione mariana.

Scorci lombardi

«i pioppi tra le case, dimestici; fra porte e androni le galline che beccano nell’ombra fresca; nell’alto le luci ultime che toccano le fronde degli alberi, ungono la bocca della cella campanaria». Con queste parole lo storico dell’arte Roberto Longhi racconta lo sfondo del dipinto. Ci troviamo completamente immersi nell’atmosfera crepuscolare di un pomeriggio lombardo.  La resa paesaggistica è strepitosa: si riconosce uno scorcio di pianura agricola, fitta di terragni che si allontanano dal fosso stagnante, con la scaletta umida incrostata di muschio, l’aia con i polli, il cascinale dai muri intiepiditi dagli ultimi raggi del sole che sfiora, in alto, la cella campanaria.

Un autore ancora misterioso

Non conosciamo la provenienza del dipinto, registrato per la prima volta nella collezione bergamasca del conte Guglielmo Lochis nel 1846. L’opera è allora riferita a Bernardo Zenale per via dell’iscrizione, ancora leggibile in basso a destra, «BERNARD ZINALA» interpretata come firma. Considerato per molto tempo dagli storici dell’arte uno dei paradigmi della pittura di Ambrogio Bergognone, il dipinto sembra rientrare meglio all’interno della produzione del cosiddetto Maestro Bramantesco, identificabile forse con Bernardino Bergognone, fratello e collega di Ambrogio.

Biografia

Bernardino cresce e lavora in Lombardia, a fianco del più noto fratello Ambrogio. È infatti documentato alla Certosa di Pavia nel febbraio 1491, cantiere in cui i due operano insieme. Lo stile pittorico di Bernardino pare influenzato, oltre che dalla compagnia bergognonesca e dalle innovazioni bramantesche, dalla pittura lombarda di Vincenzo Foppa e di Bernardo Zenale.